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20 Dic 2023

Adolescenza / Apprendimento / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Senza categoria / Sviluppo cognitivo

SESSISMO, PORNOGRAFIA E VIOLENZA NELLE CANZONI AMATE DAI NOSTRI FIGLI: IL RUOLO DI NOI GENITORI – di Alberto Pellai

Spesso nei testi delle canzoni l’amore è rappresentato come una cosa sporca, violenta e maledetta. Ma non vanno vietate. Vanno sentite insieme e va chiesto: “Ti piacerebbe essere trattato in questo modo?” (di Alberto Pellai su Famiglia Cristiana)

I testi delle canzoni così popolari tra i nostri figli possono avere un’influenza sul loro modo di avvicinarsi alla vita, sulle attitudini che mettono in gioco nelle relazioni con gli altri? Proprio quelle competenze che sono i pre-requisiti per il rispetto e l’empatia (fattori di protezione nei confronti di qualsiasi forma di violenza all’interno di un legame affettivo) sembrano non esistere nei testi dei brani di molti trapper e rapper, se li analizziamo con la lente del pensiero critico e dell’attenzione alle parole. Corpi di ragazze trattati come buche da bigliardo in cui infilare la stecca, dichiarazioni d’amore in cui si conquista l’accesso al corpo della partner dicendole che è più bella dei soldi o che le si regalerà una borsa di gran marca. Linguaggi impregnati di sessismo in cui il sesso è dentro ad una relazione basata sul maschio potente che si prende ciò che vuole da una “tipa” che naturalmente “ci sta”, senza se e senza ma. Sono molte le domande da farsi. Come mai queste narrazioni non arrivano al centro del dibattito culturale e di genere? Come mai quando si parla di linguaggio rispettoso e inclusivo, nessuno ha mai il coraggio di mettere sulla scena anche un’analisi approfondita della cultura “mainstream” che ogni giorno bombarda le orecchie (e quindi forse anche il cuore e la mente) dei nostri figli? Stupisce anche constatare come artiste di primo piano nel panorama musicale italiano, spesso in prima linea nel dichiarare l’importanza di prevenire ogni forma di violenza verso le donne, siano poi frequentemente protagoniste di “feat./featuring” (ovvero collaborazione musicali in cui cantano parti di un brano) con altri artisti uomini che di questa cultura sessista sono portavoce assoluti. E stupisce ancora di più che spesso i brani in cui sono presenti i “feat.” di queste artiste raccontino storie di relazioni profondamente disfunzionali in cui parole che parlano di “possesso” del maschio nella relazione e di dipendenza affettiva sono all’ordine del giorno. E’ chiaro che c’è una confusione incredibile nella cultura corrente che sembra mossa molto più dal bisogno di popolarità che dalla necessita di lanciare un vero messaggio preventivo, del quale ci si vorrebbe proclamare coerenti testimoni e paladini. Molti genitori chiedono a noi specialisti se si deve vietare l’ascolto di questa musica. La risposta è: no. Non serve nascondere qualcosa che è nelle vite di tutti. Occorre promuovere un pensiero critico che aiuti ad andare oltre la trasgressione evidente presente in quei testi e coglierne il significato reale nella vita di tutti e tutte. Bisogna dialogare intorno ai testi. Senza fare prediche. Facendo soprattutto domande. Spesso, lavorando con preadolescenti e adolescenti, chiedo loro di immaginarsi concretamente protagonisti di un testo che rappresenta una situazione oggettivamente problematica. “ti piacerebbe essere trattato in questo modo? Se il tuo migliore amico parlasse di te usando questi termini, come ti sentiresti? Se un ragazzo ti dicesse che lui è la tua stecca da bigliardo e tu sei la sua buca, che cosa proveresti?”. Penso che il problema grande relativo ad alcuni progetti musicali che usano parole violente, volgari e sessiste è relativo al fatto che alcuni adolescenti sono immersi nell’ascolto di questi brani da mattina a sera, senza alcun confronto e mediazione con figure educative. Un “bum bum” martellante di musica arrabbiata, di suoni e parole violente che non ha mai un contraltare, un’integrazione mediata da altri messaggi, altre proposte formative. E spesso chi è così “dentro” questo genere di ascolto, lo trasforma nella propria cultura personale e perciò ne assume identità e valori. Alcune sere fa, dopo una conferenza, ho avuto la fortuna di trascorrere un dopo cena con 5 adolescenti che avevano fatto i volontari nell’accoglienza del pubblico dell’evento di cui ero stato protagonista. Uno di loro è producer di musica trap. Proprio quel giorno era uscito l’album del suo artista preferito. Abbiamo parlato a lungo di cosa gli piacesse e cosa invece avrebbe voluto diverso. Io, durante il viaggio in auto per raggiungere la sede dell’incontro, avevo ascoltato due volte l’intero album sapendo che anche un mio figlio non vedeva l’ora che uscisse. Ad un certo punto, il quasi 18enne mi ha detto così: “Il problema che c’è in queste canzoni è che quando cantano l’amore, lo cantano sempre sporco e maledetto. Non è mai una cosa davvero bella”. Penso che questo sia ciò che serve: non censurare, ma aiutare a produrre significati. Famiglia Cristiana mi ha chiesto di scrivere un lungo approfondimento su questo tema che potete condividere con altri genitori e che può rappresentare un ottimo spunto di discussione in classe con i vostri studenti e studentesse.

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18 Dic 2023

Adolescenza / Apprendimento / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Senza categoria / Sviluppo cognitivo

DISORDINI DELL’ELABORAZIONE SENSORIALE, RIFLESSI ARCAICI, EMISFERICITA’ E DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO

Quando un bambino comincia ad andare a scuola, “si dà per scontato” che sappia stare seduto fermo al banco, prestare attenzione, tenere in mano una penna, usare gli occhi per seguire le parole o scrivere. Per molti bambini, queste abilità risultano naturali e le apprendono senza difficoltà; per altri invece anche compiti semplici possono risultare di difficile esecuzione,
perché vengono a mancare quelle abilità mentali e fisiche che sono necessarie per conseguire i livelli più elevati di apprendimento.


Queste difficoltà possono essere dovute alla presenza di riflessi primitivi non correttamente integrati nel Sistema Nervoso.

Un riflesso è una risposta motoria automatica ad un particolare stimolo (sensoriale o motorio) o ad una combinazione di stimoli. Ad esempio, quando una mamma tocca la guancia del suo bambino (stimolo tattile), si attiva un riflesso per cui lui gira la testa verso lo stimolo e apre la bocca, tirando fuori la lingua, pronto per la suzione: è il Riflesso di Ricerca e Suzione (questo tipo di riflesso in un determinato momento della vita del bambino verrà integrato e non sarà più sollecitabile). I riflessi controllano tutte le funzioni che regolano il nostro corpo, anche quando non ci rendiamo conto che stiamo ricevendo informazioni sensoriali (ad esempio il respiro, il battito cardiaco e la pressione sanguigna) e molti di questi sono, a tutti gli effetti dei salva vita.

Ogni bambino dovrebbe usare ciascun riflesso primitivo in un momento preciso dello sviluppo. Se questi riflessi rimangono “attivi”, perché le cortecce non li hanno ancora integrati, possono interferire con lo sviluppo cerebrale del bambino potendo così contribuire all’insorgenza di ADHD, Disturbi Specifici dell’Apprendimento, problemi uditivi, visivi e comportamentali.

Spesso la presenza di riflessi ancora attivi può essere la conseguenza di difficoltà verificatisi alla nascita o durante la vita intrauterina. Un neonato i cui riflessi primitivi non si sono sviluppati in modo corretto, avrà maggiori difficoltà ad inibirli rispetto ad un neonato in cui lo sviluppo e la maturazione sono avvenuti in modo fisiologico. È il caso dei bambini prematuri e di quelli nati con parto cesareo, con l’uso del forcipe o della ventosa e con induzione. Queste tipologie di parto possono impedire ai riflessi primitivi di emergere e maturare correttamente per poi integrarsi, successivamente, nel sistema posturale. I risvolti non riguardano esclusivamente la motricità ma possono influenzare anche il corretto sviluppo delle connessioni con i centri superiori (le neocortecce) e influenzare così anche lo sviluppo sia cognitivo che emotivo.

Molti segnali di allarme possono essere rilevati anche dai genitori stessi o dalle insegnanti.

  • Il bambino non ha gattonato o ha gattonato in modo curioso?
  • Il bambino appare goffo o non coordinato nel movimento ?
  • Il bambino è ipersensibile alle etichette dei vestiti, agli odori, ai rumori?
  • Il bambino non riconosce la destra e la sinistra?
  • Il bambino non ha un sonno ristoratore ?
  • Il bambino soffre di otiti ricorrenti ?
  • Il bambino fatica ad imparare ad andare in bicicletta ?
  • Il bambino suda molto o ha spesso mani e piedi sudate?
  • Il bambino fatica a seguire la linea quando scrive sul quaderno?
  • Il bambino soffre di mal d’auto?
  • Il bambino ritarda nell’articolare bene le parole ?
  • Il bambino, quando a terra, predilige la posizione a W ?
  • Il bambino cammina sulle punte ?
  • Quando si è per strada uno a fianco all’altro, il bambino tende a venirvi addosso ?

Se il vostro bambino/a presenta uno di questi sintomi potrebbe rientrare il questa casistica.

È molto importante ricordare che esiste una connessione ben definita tra corpo e cervello.

Il corpo si comporta come un ricevitore di informazioni in cui le conoscenze vengono immagazzinate ed espresse. Se il corpo, ad esempio, non può funzionare in modo appropriato perché il bambino ha un riflesso primitivo mantenuto che fa sì che la sua attenzione sia focalizzata su tutti i rumori o altri stimoli distraenti presenti intorno a lui, il cervello non potrà concentrarsi sulla lettura, sulla scrittura, sull’ascoltare l’insegnante e non avrà la maturità emotiva per agire in maniera razionale in situazioni stressanti. Affinché un bambino o uno studente possano sviluppare le connessioni neurali necessarie per raggiungere livelli superiori di apprendimento, il corpo deve fungere da veicolo. Il movimento è alla base dell’apprendimento: la parola, il linguaggio, il comportamento, le emozioni e l’attenzione sono tutti in qualche modo collegati al funzionamento del sistema sensoro-motorio.

Ad esempio, alcuni riflessi primitivi collaborano al corretto sviluppo del sistema vestibolare che consente la stabilità e l’equilibrio. Questo è un sistema composto da vie visive, vestibolari, propriocettive, esterocettive, enterocettive e psicocettive, che trasportano informazioni interne ed esterne al sistema nervoso centrale, in aree dove vengono elaborate per poi essere tradotte in input motori. Due vie, precedentemente considerate separate, oggi vengono studiate come un unico tratto di comunicazione: la via retino-trigeminale. Questo sistema include le informazioni visive (dove sono, cosa sto guardando e dove è quello che sto guardando), la propriocezione della muscolatura extraoculare e la via trigeminale nel suo complesso, che trasporta la propriocezione dei muscoli extraoculari.

Il sistema propriocettivo non funziona in modo locale ma globale; è stato dimostrato che uno stimolo propriocettivo applicato attraverso una vibrazione ai muscoli della caviglia, può influenzare una risposta percettiva a livello retinico. Anche la lingua è un importante organo sensoriale, non solo come noi abitualmente la consideriamo (organo deputato alla fonazione, masticazione e deglutizione), ma anche come importante via di entrata per una sensorialità globale grazie agli innumerevoli nervi cranici e spinali che sono coinvolti sotto il profilo motorio e sensitivo (V, VII, IX, X, XII e prime 3 radici cervicali).

Anche una scorretta percezione acustica ad esempio, può determinare un cattivo adeguamento posturale e una difficoltà cognitiva, ma troppo spesso si pensa al sistema dell’ascolto come qualcosa tradizionalmente legato alla membrana timpanica e al successivo sistema di trasmissione legato agli ossicini più piccoli del corpo (martello, incudine e staffa); il modo semplicistico di porre il problema tralascia il fatto che un disturbo del tono muscolare può colpire ad esempio il muscolo tensore del timpano (innervato dal trigemino) o il muscolo stapedio (il più piccolo muscolo del corpo) innervato dal facciale.

Questo a dimostrazione che il sistema percettivo non sia rappresentato semplicemente da gruppi più o meno specializzati di sensori e di vie di comunicazione separate tra di loro, bensì rappresenta un network complesso dove le singole parti possono assumere un’azione vicariante quando una funzione non lavora in modo appropriato.

Allora cosa è una Sindrome Dispercettiva?

Rappresenta un disturbo che tocca la sensibilità propriocettiva corporea globale ed in particolare le informazioni retino-trigeminali.

Essa provoca un quadro clinico soggettivo e oggettivo associato a tre caratteristiche:

  • un’alterazione dell’equilibrio tonico oculare, stomatognatico e posturale responsabile di una postura corporea asimmetrica
  • uno squilibrio della localizzazione spaziale, cioè delle informazioni sensoriali provenienti dallo spazio circostante unite ad una scorretta percezione delle proprie parti corporee
  • degli squilibri percettivi che disturbano l’integrazione multisensoriale quando più modalità sensoriali sono stimolate nello stesso momento

Il risultato è un insieme eterogeneo di segni clinici, molto variabili da un soggetto all’altro, ma riconducibili a 3 forme dominanti:

  • la forma definita “muscolare” che si manifesta soprattutto con tensioni muscolari non equilibrate che, nel tempo portano ad usura e dolore
  • la forma pseudo-vertiginosa, dove si ha una sensazione di instabilità costante e spesso chi ne è colpito soffre di cinetosi
  • ed una forma definita “cognitiva”, la quale si evidenzia con più facilità nei bambini in età scolare. la presenza di sindrome dispercettiva non è rara in  bambini dislessici, iperattivi e con difficoltà dell’apprendimento.

Silvia Micheli si occupa delle problematiche del neuro-sviluppo (in particolare i ADHD, DSA, ADD, Disturbi della sensibilità e del comportamento) a partire dai primi giorni di vita fino all’età scolare, anche in modo preventivo,in primo luogo valutando che lo sviluppo sensoro-motorio sia congruo rispetto all’età del bambino e, nel caso promuovendo interventi di ristrutturazione sensoro-motoria prima di applicare metodi di tipo psico-cognitivo o farmacologico. A completamento del lavoro, nel caso di bambini con difficoltà di apprendimento propone un intervento di potenziamento visuospaziale che rappresenta l’esperienza cognitiva che serve a supporto del bambino quando gli aspetti scolastici e comportamentali lo richiedono.

Contatti: Silvia Micheli

cell +39 349 71 50 826
mail: silviamicheli.psico@gmail.com
sito: www.humanarchetype.org

riceve

  • in via Delfico 2 a Milano presso Studio nutriMenti
  • in via Teodosio 12 a Milano presso lo studio Equilibrio Corporeo

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15 Nov 2023

Adolescenza / Apprendimento / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Senza categoria / Sviluppo cognitivo

OOPS… L’ho fatto ancora La DISPRASSIA e il Brain Gym di Alessandra Corrias

Avete presente quei bambini che in classe fanno cadere la penna un sacco di volte, al campo giochi sono goffi e quando mangiano combinano sempre pasticci? In genere, vengono rimproverati perché si pensa che siano troppo distratti o troppo agitati. A volte è vero, ma a volte non è così. I soggetti affetti da disprassia, infatti, presentano proprio questi comportamenti. Vediamo di che si tratta…

La disprassia è un disturbo di sviluppo della coordinazione motoria. Chi ne soffre fa molta fatica a organizzarsi nel tempo e nello spazio e a programmare sequenze di pensieri e movimento. Colpisce tra il 5-6% della popolazione e non può essere curata. Quando si è piccoli, mamma, papà e la pediatra non se ne accorgono subito. Vedono magari qualche difficoltà a gattonare, a mangiare e anche pianti frequenti…

Chi soffre di disprassia ha difficoltà a gattonare prima e poi inciampa e urta ovunque; non riesce ad andare in bici; quando disegna fa pasticci e colorando fuoriesce dagli spazi; è un disastro con i puzzle, i chiodini da infilare e la carta da ritagliare… A tavola, sembra impossibile non rovesciare l’acqua o adoperare forchetta e coltello insieme. Ogni giorno, quando ci si veste, si fa una gran fatica con bottoni e lacci. E si In classe, poi, scrivere e ricopiare è veramente difficile come anche seguire il filo di un tema, leggere l’orologio, tenere in ordine le proprie cose sul banco o fare lo zaino. Per non parlare della matematica: con tutti quei numeri da mettere in colonna e la penna che sembra impossibile da tenere. Dopo poco, fa male la mano e viene il mal di testa… Anche durante l’intervallo giocare è complicato: la palla va ovunque e non si capisce la direzione di gioco (così nessuno ti vuole più in squadra). Gli odori e i rumori di fondo, poi, sono un ulteriore disturbo. Che cosa succede? Succede che ci si isola nella propria bolla, e si finisce col sentirsi arrabbiati, incompresi e soli.

La disprassia, si è detto, non può essere curata; tuttavia può essere riconosciuta e, con l’aiuto di specialisti e della Associazione Disprassia e Famiglie, si possono ricevere indicazioni sull’utilizzo di strumenti che, a scuola come a casa, tolgono la fatica del fare e lasciano la mente libera per imparare i concetti più importanti. La disprassia purtroppo non ti abbandona, ma oggi si può imparare a conviverci e migliorare la propria qualità della vita. AD&F è a fianco delle famiglie per diffondere la conoscenza sulla disprassia. Perché Conoscenza è Consapevolezza.

Col Brain Gym e la Kinesiologia Educativa lavoriamo sulla coordinazione generale e stimoliamo lo sviluppo delle abilità motorie, sia grosse (correre, giocare a palla ecc.) che fini (scrivere, disegnare ecc.) oltre all’equilibrio in generale. Facciamo un esempio…

L’otto dell’infinito: Tenendo un pollice all’altezza degli occhi, col braccio piegato, disegna un grande otto orizzontale nell’area di fronte a te (nel campo mediano), muovendo il pollice, disegnando il primo anello dell’otto in senso anti-orario e poi il secondo anello in senso orario. Ripeti 3 volte poi cambia mano e ripeti. Alla fine, ripeti con entrambi i pollici uniti come un mirino.

Si tratta di un’attività molto semplice, utile a tutti e a tutte le età, anche per chi ha difficoltà di apprendimento, come Dislessia, Disprassia, Deficit di Attenzione, Iperattività ecc.

Utile per: sviluppare appieno la capacità di attraversare la linea mediana del corpo, collegando i due emisferi cerebrali in modo che cooperino al meglio pensare in maniera più chiara rilassare e calmare in caso di stress (in particolare per i muscoli oculari) migliorare il coordinamento occhio-mano ampliare il tempo di attenzione migliorare la grafia e la velocità di scrittura sostenere la memoria aiutare a maturare la propria dominanza manuale (scegliere quale mano usare, destra o sinistra)

Se vuoi saperne di più contattaci scrivendo a: segreteria@braingymschool.it

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15 Nov 2023

Adolescenza / Apprendimento / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Senza categoria / Sviluppo cognitivo

12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino- sunto libro

Negli ultimi anni le neuroscienze hanno parlato di “neuroplasticità” del cervello (o plasticità cerebrale), ossia della capacità del cervello di modificare la propria struttura nel corso del tempo in risposta all’esperienza.

È un processo estremamente importante: definisce il nostro sviluppo cognitivo e forma le nostre diverse personalità.

Il concetto di plasticità cerebrale è allo stesso tempo:

1. semplice da capire: riusciamo ad immaginarci senza problemi il fatto che il cervello non sia mai uguale, ma che si adatti alle circostanze e all’apprendimento

2. incredibilmente complesso: come e perché cambia sono aspetti decisamente più complicati.

Secondo le neuroscienze, il cervello cambia continuamente per tutto il corso della vita, plasmato dalle esperienze belle e brutte che si fanno. Per questa ragione due psicoterapeuti americani – Daniel J. Siegel e Tina Paine Bryson – nel libro “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino” (2012, Raffaello Cortina editore) sostengono che i genitori con il loro comportamento di ogni giorno possono favorire esperienze in grado di favorire uno sviluppo equilibrato delle diverse parti del cervello dei loro figli. Siegel e Bryson sostengono sia importante “ascoltare molto il proprio bambino, favorire al 2 massimo il dialogo, non dimenticarsi mai di coccolarlo e rispettarlo, ossia non mostrarsi mai superiori rispetto alle sue emozioni”.

Questi terapeuti suggeriscono 12 strategie per favorire lo sviluppo mentale del bambino che qui provo a riassumere:

1. Prima strategia: Sei arrabbiato? Lo capisco! Però questo non si fa

Quando il bambino è sopraffatto da emozioni intense (es. arrabbiato o agitato) è importante che l’adulto cerchi innanzitutto di comprendere le sue emozioni e solo successivamente, quando il bambino è più recettivo, di passare alla spiegazione razionale. E’ di fondamentale importanza aiutare il bambino a conoscere le emozioni il prima possibile, facendo da “specchio” ai suoi stati d’animo. Bisogna aiutarlo a capire che è capito, magari con un abbraccio o un’espressione piena di comprensione (es. sei deluso vero?). Dopo essere entrati in sintonia con il bambino si può definire il limite (per es. per favore cerca di stare calmo; i morsi fanno male; non si picchia) e concentrarsi su una alternativa appropriata od occuparsi di altro (per es. “Ecco il tuo orsacchiotto. E’ da tanto che non lo vedevo”). Quando il bambino sarà più grande il genitore può cercare insieme una soluzione, evitando tuttavia sempre gli atteggiamenti di superiorità.

2. Seconda strategia: ti sei fatto male vero?

Quando esplodono emozioni intense e incontrollabili, è bene aiutare il bambino a raccontare che cosa lo fa stare male. In tal modo dovrà rendere razionale la sua esperienza, sentendosi maggiormente in controllo. E’ importante insegnare sin dall’inizio al bambino a riconoscere l’emozione che prova, dandole un nome: “Ti sei fatto male vero? Oppure sembri così triste”. Poi è bene raccontare l’accaduto con le parole e nello stesso tempo mimando la scena, se possibile con un po’ di umorismo. Il bambino ne rimarrà affascinato. Può essere utile fare un libretto o un album con disegni e foto per raccontare una esperienza, oppure per preparare il bambino a una transizione, come un nuovo “rituale del sonno” oppure l’ingresso alla scuola materna. La narrazione del trauma (sia grande che piccolo) fino ai 6 anni è a carico del genitore; dai 6 ai 9 anni il bambino è in grado di impadronirsi della narrazione diretta: lo si può tuttavia aiutare con domande dirette. Dopo i 9 anni è bene lasciare che sia lui a descrivere l’accaduto con i suoi ritmi. Non si possono obbligare i bambini a raccontare e quindi se il bambino non vuole parlare di qualcosa con voi suggerite di raccontare l’accaduto nel suo diario o aiutatelo a trovare qualcuno con cui parlerebbe volentieri.

3. Terza Strategia: il no solo quando serve davvero

Usare troppo spesso “no, no, no …” si rivela particolarmente inefficace, soprattutto con bambini di 2-3 anni. E’ bene dire NO solo quando ce n’è davvero bisogno. Piuttosto che dire troppi no o vietare qualcosa è più utile provare un’alternativa: “che ne dici se andiamo a fare un giro fuori” Quando il bambino cresce una domanda efficace per evitare prove di forza potrebbe essere: “hai qualche idea su come potremmo entrambi avere ciò che vogliamo?” Tra i 6 e i 9 anni è importante spiegare ai bambini le motivazioni, sollecitare domande e soluzioni alternative. Dai 9 anni in poi si entra nella fase più difficile: pur mantenendo l’autorità è utile esaminare, per quanto possibile, delle alternative e negoziare con il bambino regole e disciplina.

4. Quarta strategia: allenate la sua parte razionale del cervello

E’ importante fornire al bambino opportunità per esercitare la parte del cervello che consente di riflettere sulle proprie azioni, affinché possa rafforzarsi e sappia mettersi in contatto con le parti del cervello collegate all’istinto, alle reazioni viscerali e alla sopravvivenza, e con il corpo. Per far ciò è importante – ogni volta che è possibile – cercare di far prendere al bambino decisioni autonome, dalle scelte del cibo o dei vestiti a ipotetiche situazioni di “cosa faresti in questa situazione?” Man mano il bimbo cresce – nelle situazioni in cui non corre rischi – è importante astenersi dal risolvergli i problemi e dall’accorrere sempre in suo soccorso. Man mano che il cervello del bambino si sviluppa, le situazioni ipotetiche diventano sempre più occasioni di divertimento.

5. Quinta strategia: è arrabbiato?

Fatelo muovere Un modo efficace per aiutare il bambino a ritrovare l’equilibrio è fargli fare del movimento. Quando il bambino è sopraffatto da emozioni intense, dopo avergli dimostrato di comprendere il suo stato d’animo, è utile trovare una scusa per farlo muovere. Es. giocate a fare la lotta, fate la gara a chi arriva per primo in un determinato posto. Man mano il bambino diventa più grande, si può spiegare chiaramente che fare movimento può essere d’aiuto per cambiare umore e modificare uno stato d’animo. Anche concedersi una piccola pausa per sgranchirsi un po’ le gambe e le braccia può essere d’aiuto.

6. Sesta strategia: fategli usare il telecomando della mente

Il ‘telecomando della mente’ aiuta il bambino a raccontare un’esperienza che lo ha fatto soffrire perché gli consente, durante la narrazione, di fare delle pause, tornare indietro o avanzare velocemente a punti della storia meno angoscianti, lasciandogli quindi il controllo su quanto vuole “rivedere”. Anche se ci si 4 annoia a riascoltare o raccontare la storia all’infinito, è bene ricordare che la narrazione favorisce la comprensione e il superamento dei traumi, piccoli o grandi che siano. Man mano crescono i bambini hanno sempre meno voglia di raccontare esperienze negative e quindi servirà maggior tatto e incoraggiamento. Nella fase della preadolescenza si potrà spiegare al bambino che pur con la possibilità di fermare la narrazione in qualunque punto e persino di avanzare velocemente per parti successive del racconto, tuttavia è necessario ripercorrere l’esperienza per intero comprese le parti più dolorose.

7. Settima strategia: allenate la memoria

E’ importante aiutare i bambini ad allenare la memoria, stimolandola spesso a ricordare esperienze vissute. Per i più bambini piccoli bastano domande semplici per ripercorrere all’indietro la giornata. Man mano cresce è importante aiutare il bambino a ricordare esperienze del passato perché possa meglio comprendere quello che gli accade nel presente.

8. Ottava strategia: lasciare scivolare via le nuvole dalle emozioni

E’ importante insegnare al bambino che le emozioni vanno e vengono: la paura, la frustrazione e il senso di solitudine non sono tratti permanenti, ma temporanei. Innanzitutto bisogna insegnare al bambino la differenza tra “sentirsi” e “essere”. Bisogna dimostrare ai bambini di saper riconoscere le sue emozioni attuali e di saperlo consolare; man mano cresce è bene aiutarlo a comprendere che non si sentirà triste per sempre, che presto si sentirà meglio; mentre per aiutare i più grandi ad avere una visione di più ampio respiro, bisogna domandargli come pensa che si sentirà dopo cinque minuti, cinque ore, cinque giorni, cinque mesi e cinque anni.

9. Nona strategia: alla scoperta di quello che abbiamo dentro, pensieri ed emozioni

E’ importante aiutare i bambini a prestare attenzione a sensazioni, pensieri, immagini ed emozioni presenti dentro di sè e a comprenderli. Per far ciò bisogna parlare con i bambini del loro mondo interiore; aiutarli a capire che possono prestare attenzione a ciò che avviene dentro la loro mente e il loro corpo e che se ne può parlare. Crescendo questa attenzione permetterà al bambino di esercitare un certo controllo su ciò che ha imparato a conoscere e che accade dentro di lui.

10. Decima strategia: insegnate la calma e la concentrazione

Anche i bambini più piccoli sono in grado di imparare a mettersi calmi e fare respiri profondi, seppur solo per qualche secondo. Per fare esercitare il bambino a dirigere l’attenzione in modo che possa modificare il proprio stato d’animo potete far leva sulla sua immaginazione: immagina di essere sulla spiaggia al sole… 5 Oppure si può chiedere al bambino di sdraiarsi a pancia in sù e mettersi una barchetta sul pancino. Bisogna insegnargli a fare dei respiri lenti e lunghi in modo da fare andare la barchetta su e giù. Anche pochissimo tempo farà capire al bambino come ci si sente quando si è calmi, tranquilli e sereni. Dopo i nove anni invece si può spiegare esplicitamente al bambino i benefici del rilassamento e della concentrazione e dimostrategli che è in grado di dirigere la propria attenzione su pensieri ed emozioni che lo facciano sentire felice e in pace.

11. Undicesima strategia: divertitevi in famiglia

E’ importante creare occasioni di divertimento in famiglia, affinché i bambini possano fare esperienze positive ed appaganti con le persone con cui trascorrono la maggior parte del loro tempo: è importante giocare insieme, ridere insieme, coccolarlo, andare al parco giochi assieme. Quando i bambini diventano più grandicelli non si deve sottovalutare l’importanza dei giochi di società per rafforzare i legami familiari; così come è d’aiuto cucinare insieme, scoprire insieme un parco divertimenti.

12. Dodicesima strategia: il litigio?

Un’opportunità E’ importante considerare il conflitto come un’opportunità per insegnare ai bambini abilità relazionali fondamentali, come qualcosa da risolvere e che spesso migliora una relazione, anziché ritenerlo un ostacolo da evitare: il conflitto non è qualcosa da evitare. E’ importante insegnare ai bambini l’importanza di condividere e di fare a turno fin da piccoli e man mano crescono è importante insegnare loro l’empatia e l’importanza di comprendere il punto di vista degli altri mostrandogli quali sono i segnali non verbali da considerare.

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15 Nov 2023

Adolescenza / Apprendimento / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Senza categoria / Sviluppo cognitivo

Come stimolare ogni giorno l’intelligenza dei bambini, secondo il metodo Feuerstein – sunto libro

Reuven Feuerstein, fondatore di un metodo per lo sviluppo del  potenziale di apprendimento dei bambini (il metodo Feuerstein) ha dimostrato che l‘intelligenza non è solo innata, ma può essere anche insegnata e stimolata. 

Nel libro “Come stimolare giorno per giorno l’intelligenza dei vostri bambini” (edizioni Red) l’autrice Nessia Laniado suggerisce alcune strategie che ogni genitore può applicare nella quotidianità per potenziare le doti del bambino e portare alla luce i suoi talenti: “non si tratta di dare lezioni di intelligenza, ma di saper cogliere nei gesti quotidiani le infinite occasioni per arricchire di pensieri, conoscenze, emozioni, ricordi, domande, simboli, parole, dunque la vita dei nostri figli” (Nessia Laniado).

Ecco alcuni suggerimenti tratti dal metodo Feuerstein per stimolare l’intelligenza del bambino:

1. Insegnare l’attenzione: quando si dice qualcosa di importante bisogna guardare il bambino negli occhi

L’intelligenza dipende dall’attenzione. Uno studio della Washington University di Saint Louis ha scoperto che l’intelligenza fluida (quella che permette di trovare soluzioni creative) dipende prevalentemente dalla capacità di attenzione e l’attenzione non fa parte del patrimonio genetico, ma è una qualità che si impara. La mamma deve il più possibile stare vicino al piccolo (anche quando è un neonato) e guardarlo negli occhi quando gli parla. In questo modo insegna al neonato a concentrarsi sul suo volto. “L’ interazione della mamma con il neonato è fondamentale per lo sviluppo affettivo e della capacità di apprendimento.” Con i bambini più grandi è importante catturare la loro attenzione quando bisogna insegnargli qualcosa. Se ad esempio bisogna spiegare al proprio bambino di non rubare il posto sullo scivolo a un altro bambino, innanzitutto è bene mettersi alla sua altezza, guardarlo negli occhi e annunciare le proprie intenzioni: “adesso voglio dirti una cosa importante”; motivarle: “Se rubi il posto a un bambino, lo fai arrabbiare. Ti piacerebbe se lui lo facesse a te?”; infine concludere, guardandolo sempre negli occhi, ribadendo la regola che si vuole insegnare: “Quando vuoi salire sulla scivolo, aspetti il tuo turno”. In questo modo si esercita la sua attenzione e si favorisce la memorizzazione della regola.

2. Farlo vivere in un ambiente ordinato Un ambiente disordinato e confuso favorisce la disattenzione

E’ importante quindi cercate di tenere la camera dei bambini ben in ordine, così che ogni oggetto abbia il suo posto e il bambino possa scegliere intenzionalmente e senza perdersi nella confusione il gioco che vuole.

3. Motivarlo ad esprimersi con le parol

“Insegnare il linguaggio a un bambino è fornirgli lo strumento indispensabile perché possa sperimentare i più alti livelli di astrazione del pensiero”. E’ importante abituare il bambino fin da piccolissimo ad esprimersi a parole e non con pianti. Ad esempio, se piange perché vuole un succo di frutta, anziché darglielo e basta, è bene provare a stimolarlo in altro modo: in una mano tenere il succo e nell’altra un bicchiere d’acqua e chiedergli: “Vuoi acqua o succo?”. In questo modo sarà fortemente motivato ad imparare la parola succo. “La parola diventa il mezzo più adatto per esprimere ciò che vuole”.

4. Per aumentare il suo vocabolario proporre il gioco dell’albero

Per arricchire il linguaggio del bambino si può proporre, ogni volta che si presenta l’occasione, il cosidetto gioco dell’albero. Si parte con una parola (il tronco) e via via la si arricchisce di particolari (i rami). Ad esempio, partendo dalla parola “uva” si elencano prima le parti che compongono il frutto: acini o chicchi, buccia, grappolo, picciolo; poi si nominano tutti gli aggettivi che vengono in mente: tonda, dolce, aspra, bianca, nera… poi i verbi che si possono riferire a quella parola: lavare, raccogliere, mangiare spremere, pigiare…; gli avverbi: si mangia lentamente… e infine chiedetegli di dire le categorie: cibo, vegetale, frutto… “Attraverso le categorie i bambini imparano a mettere ordine nell’universo del linguaggio, stabiliscono delle gerarchie, fanno associazioni”.

5. Se sbaglia, non correggerlo in pubblico

Gli errori vanno corretti, ma mai di fronte agli altri: il bambino si sentirebbe umiliato e potrebbe perdere la voglia di comunicare. Quindi se il bambino commette un errore è bene aspettare il momento di essere soli, prenderlo da parte e con dolcezza spiegargli dove ha sbagliato. E’ importante ricordargli anche i suoi miglioramenti. Ad esempio, se il bambino ha sbagliato a pronunciare una parola, è importante dirgli come si dice correttamente ma aggiungere poi: “Ti ricordi quando non riuscivi a dire ‘arrosto’, ora invece lo dici bene…”. Se si sottolinea il precedente successo, il bambino non perderà la fiducia in sé.

6. Ascoltare i suoi racconti senza interromperlo

Se il piccolo racconta un aneddoto sulla sua giornata a scuola e nel farlo si esprime male (per esempio sbaglia un verbo) e viene corretto, si rischia di fargli perdere il filo del discorso e di chiudere la comunicazione. “E’ importante non reprimere i bambini nella loro spontaneità espressiva, soprattutto quando raccontano qualcosa che li tocca emotivamente. Per correggere la sintassi avremo altre occasioni.”

7. Lasciarlo fare da solo tutte le volte che ve lo chiede

I bambini hanno grande capacità di osservazione e di imitazione, strumenti formidabili per lo sviluppo intellettivo e la capacità di concentrazione. Quindi se chiedono di fare qualcosa (es. aiutare a lavare i piatti, sparecchiare, vestirsi da soli) è importante lasciarli fare, anche se ci impiegheranno più tempo, se saranno approssimativi, o faranno dei pasticci, perchè avranno modo di imparare. Se ci si sostituisce sempre a loro nel fare le cose, non impareranno, si sentiranno sottovalutati e perderanno fiducia nelle loro capacità.

8. Far ascoltare Mozart e la musica barocca

E’ sapere condiviso che la musica influisce positivamente sul benessere fisico e mentale; recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato che è soprattutto la musica barocca (Vivaldi, Bach, Haendel…) e quella di Mozart ad avere i maggiori vantaggi. Queste musiche sono ricche di simmetrie e modelli ricorrenti, in grado di favorire il potenziamento della mente. Le loro composizioni riescono a stimolare sia l’emisfero destro che l’emisfero sinistro e inducono nei bambini calma e concentrazione. Tecniche diagnostiche hanno dimostrato che ascoltare musica barocca nei primi anni di vita rafforza i circuiti neuronali e stimola la creatività e le aree del cervello specializzate nel favorire la motivazione.

9. Lasciarlo giocare al “far finta di”

“Facciamo finta che io sono una principessa e tu una fata?”. Quante volte i bimbi inventano e interpretano personaggi astratti? E’ importante lasciarli giocare il più possibile a questo tipo di giochi. Giocare a travestirsi e a “far finta di essere qualcun altro, infatti, favorisce lo sviluppo del pensiero astratto, l’empatia e l’intelligenza emotiva (ossia capacità di immedesimarsi nell’altro) e stimola la creatività. Numerose ricerche hanno dimostrato che i bambini che fanno molti giochi di ruolo sono più sereni e collaborativi, hanno un vocabolario più ricco e meno problemi di apprendimento. Contrariamente i “giochi intelligenti” proposti dall’industria, anche se pensati per sviluppare la creatività dei piccoli, mancano spesso delle caratteristiche più importanti: la spontaneità, la complessità e l’imprevedibilità. “Giocare soltanto per giocare è uno dei diritti fondamentali del bambini, ed è qualcosa di cui al giorno d’oggi, con la mania dei giochi intelligenti, si sta derubando l’infanzia” (Berry T. Brazelton. Pediatra americano)

10.Assegnategli piccoli compiti quotidiani

“Avere la responsabilità di svolgere un compito semplice in modo continuativo ed autonomo, esercita la memoria ed è il primo passo verso lo sviluppo del pensiero astratto”. Un compito basilare che si può assegnare, per esempio, è quello di apparecchiare la tavola- La prima volta il bambino si porrà una serie di domande mettendo in atto complesse operazioni mentali come: • contare: “per ogni posto quante posate, bicchieri, tovaglioli e piatti dovrò mettere?” • pensare la sequenza giusta: “porto prima i piatti o i tovaglioli?” • verificare di aver fatto giusto: “Che cosa manca?”. Permettendo al bambino di ripetere ogni giorno questa routine, le operazioni mentali impiegate per l’esecuzione del compito vengono ricordate più facilmente e diventano parte del patrimonio intellettivo del bambino.

11.Quando il bambino fa una domanda, è bene non rispondergli subito, ma dialogare: imparerà di più

Se il bambino fa una domanda è importante cercare di arrivare insieme a lui alla risposta, dialogando e facendo assieme delle domande, con l’obiettivo di cercare la risposta insieme a lui, anziché rispondere subito con una risposta pronta e finita. E’ importante quindi mettere in secondo piano i buoni propositi didattici, resistere al proprio bisogno di correggere e fornire la risposta giusta, ed è al contrario importante svuotare la mente e trovare insieme i modi con cui si potrebbe rispondere. La domanda diventa così un dialogo che non porta solo alla risposta, ma crea nuove idee, fa acquisire informazioni, fa esplorare la conoscenza. E nel dialogo il bambino e l’adulto imparano insieme, diventando così una ricerca in cui si stimola il pensiero e la creatività. Se il bambino, per esempio, vede un animale sul muro e chiede cos’è, anziché rispondere subito è utile dialogare facendogli altre domande: “Tu che cosa pensi che sia?”, il bambino potrebbe rispondere: “Ha la punta come quella di una matita…”; e l’adulto potrebbe suggerirgli: “Allora lo puoi prendere e portarlo a casa per disegnare?”, “No?”, “Però sarebbe divertente avere l’astuccio pieno di animaletti…”.

12. Esercitate la sua capacità di scelta Scegliere significa valutare, confrontare, decidere.

E’ possibile esercitare la capacità di scelta dei bambini sin da piccoli mettendoli di fronte a due o tre alternative. Per es. “Oggi fa freddo, bisogna coprirsi bene. Decidi tu: quale tra queste due felpe preferisci?”. Se i bambini vedono che le loro decisioni vengono rispettate, inizieranno a percepire se stessi come persone in grado di fare delle scelte autonome e saranno più inclini a rispettare le scelte altrui.

13. Raccontategli la storia della vostra famiglia

Un bambino per essere sicuro di sé deve sapere che non viene dal nulla, che alle sue spalle ci sono delle tradizioni, ricche di esperienze e saggezza, da cui lui, inconsapevolmente, ha ereditato delle caratteristiche. Inoltre le tradizioni e i riti sono momenti di grande insegnamento perché ricchi di emozione e di affetto. E’ importante cercare di costruire dei riti famigliari (es. il pranzo della domenica, la visita ai nonni, ecc…), così come è importante raccontare ai bambini la storia della loro famiglia: sfogliare insieme vecchi album di foto, sollecitarli a fare domande sul passato. Trasmettere ai bambini la consapevolezza di appartenere ad una storia che viene dal passato, lo aiuterà a proiettarsi nel futuro.

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15 Nov 2023

Adolescenza / Apprendimento / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Senza categoria / Sviluppo cognitivo

“Il cervello del bambino spiegato ai genitori” sunto libro

Il cervello del bambino spiegato ai genitori” di Alvaro Bilbao è un libro molto utile per tutti quei genitori che desiderano indicazioni pratiche per capire come affrontare le varie sfide della genitorialità. E’ di facile lettura e fruizione per tutti ed offre consigli concreti su varie problematiche che i genitori si possono ritrovare ad affrontare.

Il contenuto di questo libro è davvero arricchente. L’autore è neuropsicologo e psicoterapeuta, padre di tre figli, quindi oltre all’esperienza teorica e professionale trasmette la sua esperienza diretta di padre. E’ un manuale che a partire dai fondamenti della neuroscienza, spiega in maniera chiara come costruire un rapporto soddisfacente e duraturo tra genitori e figli, perché «educare non è altro che sostenere il bambino nel suo sviluppo cerebrale, affinché un giorno quel cervello gli permetta di essere autonomo, di raggiungere i suoi obiettivi e di sentirsi bene con se stesso».

Nei vari capitoli offre indicazioni concrete ed utili ma sceglie anche di spiegare al genitore cosa accade al cervello del bambino quando l’adulto di rifermento si comporta in una data maniera piuttosto che in un’altra. Spiega il ruolo delle sinapsi, delle varie parti del cervello e di come avviene la loro delicata formazione. «È molto importante approfittare dei primi anni di vita di un figlio per stargli vicino e aiutarlo a sviluppare capacità cognitive ed emotive. Non si tratta di sottoporlo a complessi programmi di stimolazione precoce né di iscriverlo al miglior asilo del circondario. Ogni gioco, ogni pianto, ogni passeggiata e ogni biberon rappresenta un’occasione per educare e potenziare il suo sviluppo cerebrale».

Il bambino sviluppa il suo cervello e la sua mente a partire dalle prime relazioni importanti della sua vita. Mamma e papà hanno perciò un ruolo decisivo nello sviluppo psicologico, intellettivo nonché emotivo del piccolo. Il cervello del bambino alla nascita possiede già molti neuroni (cellule cerebrali) ma con il passare dei mesi le connessioni tra loro (sinapsi) si moltiplicano in modo esponenziale. Tali connessioni si formano in base a come il genitore risponde ai bisogni del piccolo. Quando parliamo al bambino, quando lo baciamo o semplicemente quando lui ci osserva, il suo cervello crea connessioni che lo aiuteranno ad affrontare la vita da adulto. Alvaro Bilbao insegna a relazionarsi ai figli in modo che il bambino possa creare preziose connessioni che gli permettano di sentirsi bene con se stesso e di raggiungere i suoi obiettivi. Affronta in modo esaustivo il legame di attaccamento come strumento principe per un sano sviluppo del bambino, portando vari esempi e consigli.

Il libro è diviso in quattro macro-capitoli:

1. Nella prima parte spiega com’è fatto il cervello dei bambini. Il libro permette di conoscere il ruolo della parte emotiva del cervello, di quella razionale e di quella più primitiva (rettiliana): come ragionano queste parti a seconda dell’età e come è meglio comunicare in maniera efficace con i figli tenendo in considerazione quale delle tre parti celebrali entra in gioco nelle diverse situazioni quotidiane. Alvaro mette a disposizione strumenti (basati su fondamenti scientifici) incredibili e aiuterà a comprendere il funzionamento del cervello del bambino così da evitare nell’immediato molteplici problemi quotidiani, quali, pianti inconsolabili, prese di posizione drammatiche. Inoltre aiuta ad evitare modalità di comunicazione che possono creare problemi ai figli in futuro.

2. Nella seconda parte, lo scrittore da gli strumenti giusti per favorire lo sviluppo celebrale del bambino, motivare la buona condotta, evitare i castighi, che sostiene essere controproducenti e causa di rapporti incrinati. Particolarmente utile è la parte relativa a come dare limiti e regole offrendo delle valide alternative al castigo e alla punizione. Molti genitori sono ancora convinti che la sberla o la punizione fisica siano un buon metodo educativo ma da varie ricerche in psicologia si è visto che così non è, anzi…..la punizione sotto forma di atto aggressivo può davvero essere deleteria per un sano sviluppo affettivo del bambino. In questa parte fornisce anche strumenti per creare empatia ed una efficace comunicazione con i figli.

3. La terza parte è dedicata a come incentivare l’intelligenza emotiva del bambino, accompagnandolo a sviluppare fiducia in sé stesso e negli altri, aiutandolo a crescere senza eccessiva paura e con assertività. Insegna a creare un legame di amore, stima e fiducia reciproca con i figli. Altri punti fondamentali che tocca sono l’autostima, crescere senza paure e caratteristiche importanti per formare un carattere felice e forte, una di queste, l’assertività.

4. La quarta ed ultima parte è dedicata a come stimolare attenzione, memoria, linguaggio, autocontrollo, creatività ed intelligenza visiva, ossia a come potenziare il cervello razionale. Le ultime 100 pagine sono veramente da sottolineare, studiare e mettere in pratica come un manuale di “istruzioni per l’uso!”. Tutti i genitori prima o poi si trovano di fronte ai problemi affrontati in questo capitolo, oppure vogliono migliorare questi temi per aiutare il proprio figlio a vivere una vita felice ed appagante. I temi trattati sono: attenzione, memoria, linguaggio, intelligenza visiva, autocontrollo, creatività.

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18 Gen 2018

Adolescenza / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Sviluppo cognitivo

Parlare di terrorismo ai bambini e agli adolescenti e prevenire le reazioni di stress emotivo. Linee guida

“Parlare di terrorismo ai bambini e agli adolescenti e prevenire le reazioni di stress emotivo”

di Enza Gidaro, Simona Vecli 

 

Tutti gli adulti che si occupano di bambini, genitori, educatori e insegnanti di ogni ordine e grado nella scuola e non solo, hanno il difficile compito di educare e sostenere i piccoli nella crescita. Questo processo può essere più o meno sereno e in circostanze dolorose come quelle attuali caratterizzate da sentimenti di incertezza e di instabilità relativamente al mondo è fondamentale anche il ruolo di prevenzione al fine di promuovere la salute psicologica e mentale dei piccoli. Per fare questo è necessario mediare tra il loro universo cognitivo, emotivo e affettivo e la crudele realtà circostante attraverso le “giuste parole”, ma è anche importante riconoscere quei chiari segnali di malessere che i bambini possono manifestare dopo eventi efferati come gli attentati terroristici. Come terapeuti che curano il Trauma riteniamo utile fornire alcune indicazioni per comunicare con i bambini su un tema così difficile e aiutarli nei loro bisogni di prevedibilità e di chiarezza di informazione.
(Diritto all’informazione – Carta dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ONU, 1989).

L’Associazione EMDR Italia ha divulgato le Linee Guida per spiegare il terribile fenomeno del terrorismo ai bambini.

 

 

 

18 Gen 2018

Adolescenza / Apprendimento / Educazione / Età evolutiva / genitorialità / Infanzia / Sviluppo cognitivo

Bambini e tecnologia. Guida (per genitori) all’uso consapevole e controllato

Bambini e tecnologia.
Guida (per genitori) all’uso consapevole e controllato

di Alessandra Corrias

La tecnologia è parte integrante della nostra vita quotidiana e, quindi, della vita dei nostri figli, anche dei più piccoli. Un recente sondaggio – condotto dal Centro per la Salute del Bambino, in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri, sul rapporto esistente tra infanzia e tecnologie digitali – ha analizzato la diffusione dei dispositivi tecnologici fra i bambini al di sotto dei 5 anni nel nostro Paese: ne è emerso che un bambino su cinque entra in contatto con uno smartphone (o altra tecnologia touch) entro il primo anno di vita. Il 60% dei genitori, inoltre, permette ai figli al di sotto dei 2 anni di giocare con smartphone e tablet, mentre il numero sale fino all’80% per i bambini di 5 anni.
Purtroppo, accade spesso che i genitori – per tranquillizzare e tenere impegnati i bambini – mettano a loro disposizione un video per giocare, guardare i cartoni animati eccetera. Il 30% dei genitori ricorre a questo
espediente nel primo anno di età, mentre la percentuale sale oltre il 70% ai due anni, per restare costante nella fascia fra i 3 e i 5 anni. I nuovi media, per quanto apparentemente possano prestarsi, non devono però essere visti come una risposta efficace e immediata alle emergenze, come si fa con il ciuccio, e ancora meno devono trasformarsi in una “smart-baby sitter”. Gli strumenti a video riportano la tranquillità, ma isolano il bambino dalla realtà circostante, col rischio di ridurre la capacità di attenzione dei piccoli, accrescendo – al contrario – le difficoltà di concentrazione e comprensione. Usando questi “elettrodomestici sofisticati”, i genitori delegano la gestione dei figli a strumenti che, producendo una realtà virtuale piacevole, divertente e, soprattutto sempre e immediatamente disponibile, sviluppano dipendenza.
Facciamo un esempio abbastanza comune e riconoscibile. Accade spesso di incontrare nei bar e nei ristoranti famiglie con bambini che non mangiano senza tablet e cartoni, con i piccoli incantati davanti agli schermi mentre i genitori li imboccano. Vi sono alcuni rischi significativi in questo comportamento: il primo, è che il bambino ha bisogno, per crescere, di sviluppare la sua autonomia, capendo che esistono dei limiti che non deve superare (nello specifico, quando si mangia non si gioca e viceversa); il secondo, è che il genitore si presenta come una figura remissiva e non autorevole (“se faccio i capricci ottengo il gioco preferito”), col pericolo reale che questa modalità si riproponga abitualmente.

Un altro esempio: i viaggi. Ormai, quando ci si trova su un mezzo di trasporto, gli adulti (per primi) non trascorrono più il tempo parlando con i compagni, guardando fuori dal finestrino o leggendo, ma incollati a un video. Non solo: ciascuno ha il suo e, quindi, l’esperienza non viene condivisa.
A casa, presso molte famiglie ormai accade praticamente la stessa cosa: i bambini vengono “bloccati” davanti a uno schermo (“così stanno fermi e buoni”) spesso con un controllo da parte dei genitori che è solo parziale. Le generazioni più giovani – nate nell’era della tecnologia digitale – vivono un legame molto forte con le nuove tecnologie che, praticamente, sono entrate in ogni ambito della loro esistenza, anche a scuola. L’iper-connessione, tuttavia, ha alcune controindicazioni che è bene conoscere.

  1. Gli schermi aumentano i disturbi del sonno:
    Tra i vari effetti collaterali dell’suo delle tecnologie video, un ruolo importante hanno i disturbi del sonno, che colpiscono bambini e ragazzi “eccessivamente connessi”. Quasi la metà dei bambini (43%), secondo le ricerche, utilizza regolarmente smartphone e tablet la sera prima di andare a dormire, quando è già a letto. Sin da piccoli si abituano a utilizzare i dispositivi tecnologici per diverse ore: addirittura 26 ore a settimana per i bambini dai 2 ai 6 anni e 32 dai 6 ai 12 anni. L’utilizzo eccessivo dei video finisce per disturbare il riposo dei bambini, per tre buone ragioni. Tablet e smarphone possono spostare in avanti l’ora in cui vanno a dormire o ridurre la durata del sonno. Inoltre, tendono a sovraeccitare i piccoli, che fanno fatica ad addormentarsi o hanno un sonno più agitato. Infine, sembra che la luce blu degli schermi favorisca un’alterazione dei ritmi circadiani, influenzando la produzione di melatonina e i naturali ritmi sonno-veglia.
  2. I nuovi media sono “individualisti”:
    Un utilizzo eccessivo dei media digitali incoraggia la solitudine e il divertimento individuale, sottraendo ai bambini del tempo importante da dedicare alle relazioni condivise con amici e genitori. Più gli adulti sono “digitalizzati”, più i figli tendono a utilizzare precocemente gli stessi strumenti, spesso senza reali limiti di tempo e in solitudine. Sin dall’inizio, invece, è fondamentale educare i bambini a un uso corretto e adeguato delle tecnologie, supervisionato e mediato dalla presenza del genitore o dell’adulto responsabile, che non sottragga tempo e spazio alle necessarie interazioni sociali. La fase più importante per lo sviluppo dei lobi frontali del cervello – l’area responsabile della decodifica e della comprensione delle interazioni sociali, che ci permette di provare empatia, comprendere gli altri e di decodificare il linguaggio non verbale – è proprio l’infanzia e molto dipende dalle interazioni sociali vissute dal bambino: trascorrere un tempo eccessivo davanti a un video rischia di influenzare lo sviluppo di queste abilità e, nel tempo, di interferire sull’abilità a interagire con gli altri (Margalit, 2016).
  3. Il video agisce da stimolante:
    Il tempo trascorso davanti agli schermi sembrerebbe agire sul sistema nervoso, con effetti simili a quelli delle sostanze psicostimolanti (come la caffeina). A seguito di ciò, possono presentarsi più facilmente disturbi del sonno o problemi di concentrazione, oltre a modifiche del comportamento (limitazione dell’attenzione) che rischiano di influenzare – nei più grandi – il rendimento scolastico. Suoni e colori, inoltre, influenzano la produzione di dopamina (neurotrasmettitore associato al piacere), per cui il bambino tenderà più facilmente a ricorrere al video per ottenere gratificazione immediata, facendo fatica ad abbandonarlo per passare ad altre attività (Margalit, 2016).
  4. La capacità di concentrazione e di attenzione si modifica:
    Trascorrendo molto tempo davanti allo schermo, il cervello dei bambini viene raggiunto da moltissimi stimoli visivi che esigono l’elaborazione simultanea di più elementi. Poiché il cervello umano non è fatto per combinare attenzione ed elaborazione simultanea, col tempo i piccoli rischiano di fare sempre più fatica a concentrarsi e focalizzarsi, presi dalla smania di passare velocemente da una cosa all’altra. Quando invece un adulto legge una storia al bambino, nel suo cervello si attivano le aree connesse all’elaborazione della voce e dei suoni, alla trasformazione delle parole in immagini, alla costruzione
    mentale della storia. Tablet e computer annullano questi passaggi, offrendo immagini, parole e suoni già pronti e nello stesso momento.
  5. Il tempo “video” influenza lo sviluppo del linguaggio:
    Una ricerca canadese, condotta all’Hospital for Sick Children di Toronto (presentata al Pediatric Academic Societies Meeting 2017) sostiene che i bambini fra i 6 mesi e i 2 anni corrono il rischio maggiore di presentare ritardi nello sviluppo del linguaggio con l’aumentare del tempo trascorso a giocare con smartphone, tablet e dispositivi elettronici. Dall’analisi dei dati raccolti su un campione di circa 900 bambini è emerso che un utilizzo precoce di strumenti elettronici portatili si associa a scarse abilità nello sviluppo del linguaggio: il 20% dei piccoli trascorreva almeno 28 minuti al giorno davanti a uno schermo luminoso; con l’aumentare del tempo passato con un tablet in mano, la probabilità di riscontrare ritardi nell’apprendimento della lingua materna cresce fino al 49%.

Gli studi proseguono…
Saranno necessari numerosi altri studi e ricerche di approfondimento per riuscire a comprendere meglio le ragioni nascoste dietro l’impatto esercitato dai nuovi media sulle facoltà cognitive dei bambini. La tecnologia è ormai parte delle nostre vite e non è giusto demonizzarla. Ciò che, invece, è importante è riconoscere i potenziali rischi di un uso non controllato ed educare i piccoli (e, quindi, anche gli adulti) ad un sano e corretto utilizzo di smartphone, tablet e pc. Come per ogni altro ambito, le regole devono essere chiare e adattabili alle diverse condizioni di utilizzo.

Vediamo che cosa è importante fare:

  1. Insegnare che il dispositivo elettronico è uno strumento che ha varie funzioni e non si usa quando non serve. Quando lo si usa come un giocattolo, sono i genitori a dettare le regole. Una volta terminato il gioco, i genitori riprendono il controllo del mezzo.
  2. Definire da subito e chiaramente le modalità di utilizzo. E’ importante cercare di essere sempre presenti, per scegliere i giochi o i cartoni/video e il modo con cui il bambino si relaziona allo strumento.
    Mettere sempre lo stesso cartone o lo stesso gioco non stimola la curiosità e la creatività e neppure le funzioni cognitive. Se ci si accorge che il piccolo non riesce a staccarsi, che non ha finito di mangiare e smania per giocare, se pretende di utilizzarlo anche a tavola e non si riesce più a toglierglielo di mano, è necessario intervenire immediatamente e procedere a una vera e propria “disintossicazione” dal video.
  3. Decidere e controllare attentamente il tempo di utilizzo, per evitare ogni eccesso e dipendenza. Troppe ore consecutive fanno male, sia da un punto di vista fisico (problemi agli occhi e di postura), che mentale (irritabilità, insonnia ecc.). E’ necessario evitare accuratamente che giochino sdraiati sul letto o in posizioni scorrette.
  4. Impedire categoricamente l’utilizzo prima di andare a dormire; meglio ancora, evitare che portino gli schermi nella loro camera.
  5. Vietare l’utilizzo di telefoni, tablet ecc. quando si sta a tavola insieme (e vale anche per i genitori e i fratelli maggiori).
  6. Ricordare di far giocare i bambini anche all’aperto e insieme agli altri, inventando giochi nuovi e non seguendo le indicazioni dei giochi confezionati. Il reale e il digitale non sono interscambiabili, in quanto stimolano il cervello in modo diverso. Quando si utilizzano le app e i video giochi il bambino deve solo eseguire: impara le regole, le applica e, una volta apprese tutte le variabili, le ripropone in modo ripetitivo e senza pensare. I giochi concreti – oltre a coinvolgere anche l’uso del corpo (attraverso i movimenti) allenando la consapevolezza e il coordinamento generali – lasciano ai bambini la possibilità di decidere cosa fare e quando smettere. L’interazione con i coetanei, poi, favorisce lo sviluppo e l’apprendimento di abilità sociali importanti, come la cooperazione, la condivisione, il rispetto dell’altro e dei suoi spazi.
  7. Vietare ai bambini di usare i profili social degli adulti e attivare il parental-control su ogni dispositivo che lo consente.
  8. È importante, infine, che anche i nonni e gli altri membri della famiglia si attengano fermamente alle “regole” dei genitori.

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